Molto spesso, quando un paziente si presenta in studio lamentando mal di schiena, associato a un quadro di degenerazione, protrusione/bulging , ernia o sequestro discale, di fronte a questa diagnosi leggo nei suoi occhi uno sguardo tra l’interrogativo e il preoccupato. Le patologie discali, sono un problema frequente e comune nella popolazione, e seppur siano molto dolorose, e da non sottovalutare, non devono creare angoscia nella persona che ne soffre, dal momento che esistono svariati strumenti per ridurre o, in alcuni casi, addirittura risolvere completamente il problema.

Ma procediamo con ordine.

IL DISCO INTERVERTEBRALE

Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginosa (vale a dire, tessuto connettivo di cartilagine) flessibile e di forma discale, interposto tra le varie vertebre, con lo scopo di ammortizzare le pressioni a cui la nostra schiena viene costantemente sottoposta (a partire dal nostro stesso peso, quando ci alziamo in piedi o quando ci mettiamo seduti, a finire con le più pesanti, se solleviamo oggetti o persone).

Il disco intervertebrale, si compone di due parti:

  • Il NUCLEO POLPOSO = E’ la parte centrale del disco, ed è di consistenza gelatinosa, con un elevato grado di flessibilità, data la sua composizione di collagene e mucopolisaccaridi, elementi capaci di trattenere fino all’80% di acqua. Questa parte del disco, è la responsabile dell’ammortizzare e sostenere la vera pressione esercitata dai segmenti vertebrali sopragiacenti, e di distribuire il peso in modo uniforme all’intera superficie intervertebrale.
  • l’ANULUS (anello) FIBROSO = Formato da fibre di collagene e proteoglicani (molto più resistenti e nettamente meno elastici rispetto alla composizione appena vista), è l’anello che circonda e abbraccia il nucleo polposo, per garantire che quest’ultimo, nonostante le continue sollecitazioni, rimanga esattamente in sede ed ottenga un “sostegno” aggiuntivo, per sopportare le costanti pressioni.

Poiché il disco intervertebrale nasce allo scopo preciso di venire continuamente “stuzzicato”, schiacciato e compresso dalle nostre azioni e movimenti, tale struttura è totalmente sprovvista di fibre nervose. Questo fa sì che al momento dello schiacciamento, qualora non vi siano quadri disfunzionali come vedremo più avanti, la persona non avverta alcun dolore, né disturbo. Parimenti, è totalmente sprovvisto di una vascolarizzazione propria (riceve nutrimento attraverso i vasi sanguigni delle vertebre), e questo causa una difficoltà di rigenerazione in caso di danni alla sua struttura. Man mano che il disco viene spremuto, l’acqua contenuta nel nucleo polposo si riduce significativamente, e ha modo di esser nuovamente assorbita solo in totale assenza di ulteriori sollecitazioni, cioè la notte, quando riposiamo, in posizione prona, supina o, ancor meglio, su un fianco, in posizione fetale.

 Il disco intervertebrale, dunque, si può consumare e degenerare?

Come ogni cosa, il corpo umano è una macchina eccellente, ma non perfetta, e presenta anch’essa dei limiti. Ogni qualvolta che il peso supera la capacità di resistenza della struttura appena descritta (obesità, lavori pesanti, sforzi continui ed eccessivi, ecc), o ci si abitua ad una cattiva postura, che provoca una posizione delle vertebre NON adatta a consentire una distribuzione del peso in modo uniforme sulla superficie (ipercifosi, iperlordosi, nutazione del bacino, scoliosi, cattivo appoggio plantare, ecc), o la muscolatura periferica non è abbastanza forte da stabilizzare e guidare i nostri movimenti (ipotonia muscolare data da vita sedentaria), o, infine, eventi traumatici (incidenti, colpi bruschi, cadute, ecc), ecco che, per tutti questi casi, l’anello fibroso “cede”. Il nucleo polposo perde il suo muro di barriera protettiva, e fuoriesce dalla sua sede, andando a toccare strutture nervose periferiche (quali il legamento longitudinale posteriore e i nervi periferici del midollo spinale), provocando così infiammazione e risposta dolorosa sensitiva, a cui segue, inevitabilmente una postura antialgica erronea, vale a dire uno scorretto modo di muoversi, compensativo, per cercare di sentire meno dolore, ed un conseguente spasmo/contrattura muscolare.

Tale situazione, prende il nome di “discopatia” (sofferenza discale), e, a seconda di come si è deformato il disco, può essere di vari tipi.

QUALI SONO LE PRINCIPALI DISCOPATIE.

  1. La DEGENERAZIONE DISCALE.  Se avete ricevuto questa diagnosi, significa che il vostro anello fibroso si sta poco a poco usurando, e dal momento che riceve nutrimento indiretto (attraverso i vasi sanguigni delle vertebre) , la sua capacità rigenerativa, in caso di danno, risulta limitata. Spesso, in caso di degenerazione discale, non si avvertono sintomi, e una vasta gamma di persone ne è affetta. La degenerazione discale è un quadro che generalmente affligge un’età compresa tra i 30 e i 50 anni. Evitare la degenerazione discale, è utopistico tanto quanto evitare l’invecchiamento cellulare del nostro corpo, dal momento che è un processo naturale del continuo utilizzo e sovraccarico delle strutture. Quello che, però, è sicuramente possibile, è limitare e contenere il processo degenerativo attraverso buone abitudini: sana e ordinaria attività sportiva, evitando carichi eccessivi, incluso la pesistica, e cercando di mantenere in asse il nostro baricentro e asse longitudinale, attraverso controlli preventivi osteopatici, posturali e fisioterapici.
  2. La PROTRUSIONE DISCALE/Il BULGING DISCALE. Quando si parla di protrusione o bulging discale, NON si sta ancora parlando di ernia discale, e le due cose non vanno confuse. Dal momento in cui inizia la degenerazione discale, l’anello fibroso avanza verso un processo di usura sempre più evidente: la protrusione è il passo antecedente alla rottura dell’anello, che sarà l’ernia vera e propria. In questo caso, l’anello fibroso inizia a presentare lievi fessure/tagli lungo la sua struttura, nelle quali comincia a infiltrarsi la parte morbida del nucleo polposo. Inizia, dunque, un processo d’infiammazione locale reattiva, come meccanismo da parte del nostro corpo di avvisarci del fatto che c’è qualcosa che non va. In questa situazione, la persona può avvertire un dolore sordo (generalizzato) nella zona lombare, soprattutto a seguito di sollevamenti di carichi, o di semplici flessioni in cui sbilanciamo il nostro peso (dare la scopa, lavare i pavimenti, stare seduti a lungo coi glutei più avanti rispetto alla nostra colonna vertebrale, ecc). In questa situazione, è bene fare accertamenti, per evitare di sottovalutare l’entità del problema, e verificare se si tratta di uno stadio esistente di effettiva protrusione, e correre dunque ai rimedi, correggendo le cattive abitudini della nostra quotidianità, incluso la postura. Se si agisce celermente, i tempi di recupero possono essere relativamente brevi e ci concedono di tornare alla vita di tutti i giorni, osservando sempre le buone regole appena apprese, e una visita periodica dal professionista di riferimento.
  3. L’ERNIA DISCALE. Quando l’anello fibroso si rompe completamente, il nucleo polposo non ha più alcuna protezione, e, durante una qualunque pressione, viene spinto e riversato nel canale spinale (dove si trovano il legamento longitudinale posteriore e, soprattutto, il midollo spinale), le cui strutture sono altamente sensibili, ed il minimo contatto o alterazione ne causa immediata risposta dolorosa e infiammatoria. E’ certamente il quadro più doloroso tra quelli finora visti, nonché quello che presenta tempi più lunghi di riduzione del disturbo e remissione dei sintomi. In questo stadio, la persona avverte la sensazione di uno spillo alla base della schiena, con impossibilità ad effettuare torsioni del tronco (durante le quali aumenta l’effetto “spremitura” del disco), a flettere il busto in avanti (perché, in tal modo, spinge ulteriormente il disco all’indietro, verso il midollo spinale), e a stare in posizione eretta (perché, in tal caso, eserciterebbe ulteriore pressione sulla porzione posteriore del disco intervertebrale, ormai lesionata, fuori sede, infiammata e in contatto con le strutture nervose periferiche). In questo caso, bisogna rivolgersi immediatamente al nostro medico per eseguire una visita accurata dallo specialista indicato. I trattamenti, per la riduzione dell’ernia discale, sono vari e, oggigiorno, sempre più all’avanguardia. Il lavoro di squadra dell’ortopedico, fisioterapista, osteopata e rieducatore posturale possono certamente portare a risultati più che soddisfacenti.
  4. Il SEQUESTRO DISCALE. Questo è, certamente, il quadro peggiore in assoluto. In questo stadio, il nucleo polposo non si è solo spostato nel canale spinale, ma si è spezzato in due parti, una delle quali è rimasta intrappolata e vagante in questo piccolo spazio, a stretto contatto coi nervi. Il dolore, in questo caso, è assolutamente invalidante, acuto e persistente, e causa netta limitazione dei movimenti anche più semplici. Per questa condizione, l’unica valutazione è affidata al medico chirurgo ortopedico, capace di valutare la cosa migliore. 5. L’ASSOTTIGLIAMENTO DISCALE è una condizione secondaria a tutte quelle viste finora. Una volta che il nucleo polposo viene completamente disidratato e svuotato, il disco intervertebrale perde la sua capacità di ammortizzazione, e si assottiglia sempre più, mettendo in contatto le due vertebre tra loro, provocando in tal modo una degenerazione delle strutture cartilaginee che le rivestono, e causando, come reazione protettiva da parte del corpo, quella di deporre ulteriori strati di calcio a difendere la zona, provocando in questo modo esostosi, vale a dire crescite ossee in punti in cui non dovrebbero esserci, e, nel caso specifico, osteofiti artrosici, cioè picchi, becchi di osso (calcio), a causa della continua frizione tra le due vertebre. In caso di artrosi, il dolore lombare è acuto e sordo, tende a interessare l’intera zona sopragiacente il bacino, con impotenza funzionale nei movimenti di flessione, e riacutizzazione del dolore quanto più si sta in piedi, si cammina, o si sollecita il tratto lombare della colonna. L’artrosi è una condizione a parte da quelle che in questo articolo sto trattando, i cui rimedi rimangono in mano a figure professionali di tipo riabilitativo, quali, ad esempio, il fisioterapista. Su un quadro artrosico, la manipolazione osteopatica rumorosa (la tecnica Thrust) è fortemente sconsigliata, quindi l’osteopata, una volta definito un piano di terapia, può coadiuvare il recupero delle funzioni, attraverso tecniche dolci, come il craneosacrale ed il fasciale (per maggiori approfondimenti, rimando ai miei precedenti articoli sull’Osteopatia).

Per ognuna di queste discopatie, è possibile soffrire la comparsa di una sciatalgia, oltre che alla lombalgia?

Come illustrato finora, una volta che la discopatia interessa il nervo periferico/il midollo spinale, innesca un processo infiammatorio doloroso sensitivo e di rigidità funzionale. Il nervo periferico corrispondente ai punti in cui più frequentemente si produce una discopatia, vale a dire il tratto lombare, è il nervo sciatico. Ecco dunque, come, spesso, la causa di disturbi quali parestesia ad uno o entrambi gli arti inferiori, pesantezza, sensazione di aghi, scosse elettriche, rigidità, contratture e spasmi della muscolatura glutea e delle cosce, risiede precisamente nel quadro degenerativo descritto in questo articolo.